matino

Se vi appassionano le antiche storie legate ai borghi d’Italia, sarete curiosi di conoscere una leggenda che si narra a Matino, grazioso comune pugliese, tra i cui viottoli e misteri vi guideremo alla ricerca della verità, accompagnati dalla voce popolare e dalla storia.

Matino: il mistero di un nome

Matino è una piccola città di diecimila abitanti in provincia di Lecce, nella parte sud-occidentale del Salento. Vi sorprenderà sin dal nome, la cui etimologia rimane tuttora incerta. Quello che gli studiosi possono dirci è che questa cittadina risale all’epoca magnogreca, quando il nostro Sud era un crogiolo di popoli, autoctoni e colonizzatori: greci, messapi, iapigi, oschi e, più tardi, latini. "Matinum" deriverebbe dai Matinates, il popolo della Mater Matuta, dea arcaica legata all’aurora e venerata in queste zone. Secondo altre ricerche linguistiche, la radice osca Mat- rimanderebbe invece al significato di "terra coltivata, feconda": Matino è certamente un paese di origini contadine, tuttora circondato da ampie coltivazioni di ulivo e vite.

Se passeggiate per le sue vie, sarete colpiti dalla grazia particolare di questo borgo salentino. Stradicciole tortuose, casette bianche, balconi baroccheggianti, chiesette e volte affrescate. Un edificio in particolare colpirà la vostra attenzione: il Palazzo dei Marchesi "Del Tufo", oggi sede del Museo d’arte contemporanea, dove è ambientata la leggenda che stiamo per raccontarvi.

Un Marchese beffato: l'inganno della prima notte

La leggenda di Matino si lega proprio agli storici abitanti di questo palazzo, i Marchesi del Tufo. Si tratta di una famiglia dalle origini antiche e illustri. Secondo le "Pagine di storia salentina" di Vittorio Zacchino, il capostipite Ercole Menaboi sarebbe giunto in Italia nel 1045 al seguito di Roberto il Guiscardo, celebre condottiero normanno, e avrebbe dato alla propria famiglia lo stesso nome del feudo avellinese che gli era stato destinato. Dalle terre campane, tramite il matrimonio con una nobildonna di Matino, i Del Tufo sarebbero divenuti signori di quest’angolo di terra pugliese fino agli inizi dell’Ottocento.

Ad uno dei Marchesi del Tufo – il nome resta oscuro – risalirebbe questa leggendaria tradizione che coinvolgeva le giovani spose di Matino. Le fanciulle, infatti, dopo aver celebrato le nozze nella Chiesa di San Giorgio (la maggiore del paese), erano tenute a uno sgradevole, ma necessario sacrificio: passare la prima notte con il Marchese. Un’usanza che non sorprende fosse piuttosto sgradita ai cittadini di Matino, che tuttavia non sapevano come opporsi al sopruso perpetrato dall’uomo più potente del paese.

Narra la leggenda che, tuttavia, un coraggioso (purtroppo anch'egli innominato) si oppose alla violenza nei confronti della propria sposa. Egli elaborò uno stratagemma degno di una novella del Decameron di Boccaccio. Immaginate la brama del Marchese di passare la notte con una nuova sposina, per giunta così candida, femminile e aggraziata nelle sue movenze come quella che gli sta ora davanti. Il velo che la nasconde non fa che renderla ancor più desiderabile nel suo pudico nascondersi. Il Marchese la porta in camera da letto, solleva con trepidazione il velo e... muore accoltellato in un istante. La sposa, infatti, non è che un giovane furioso e assetato di vendetta, per la propria donna e per tutte quelle che gli abitanti di Matino hanno dovuto offrire a questo disgustoso sacrificio.

Leggenda e verità: l'inganno della prima notte svelato

Dietro la leggenda del Marchese del Tufo, gli appassionati di storia medievale riconosceranno l’usanza dello "ius primae noctis", il diritto che consentiva ai feudatari di giacere la prima notte di nozze con la moglie dei loro servi. In realtà si tratterebbe, secondo i medievisti, di un’invenzione popolare che distorce un fatto reale. Esisteva infatti, in alcune realtà, il "formariage" (dal latino "foris maritagium"), una sorta di tassa matrimoniale. Il servo che volesse sposare la serva, schiava di padrone diverso dal suo, doveva pagare una tassa al proprio padrone. Alcuni giuristi e intellettuali del Cinquecento ritennero questa tassa esito di un processo di civilizzazione che sarebbe subentrato all'orrendo obbligo di cedere la propria sposa al padrone, usanza che tuttavia, secondo i medievalisti, non è documentata. Si tratterebbe dunque di "paretimologia concettuale", cioè una falsa spiegazione, semplificata e imprecisa, per una tradizione di cui non si conosce l’origine.

Ecco così spiegata l'origine di quella che è, per fortuna, solo una leggenda.

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