Un pellegrinaggio tra terra e mistero

Nel cuore del Salento, dove il tempo sembra rallentare per lasciare spazio alla memoria collettiva, si rinnova ogni anno un appuntamento che va ben oltre la religione: la festa di Santa Marina. A Ruggiano, una piccola frazione del comune di Salve, la celebrazione si tiene il 17 luglio, una data che si discosta dal calendario liturgico ufficiale ma che conserva intatta tutta la forza della tradizione orale.

In questo lembo di Puglia, la fede si manifesta attraverso gesti simbolici e rituali carichi di significato, tramandati di generazione in generazione. Non è solo una festa patronale, ma un viaggio collettivo nel profondo rapporto tra corpo, spirito e territorio.

L’enigma di Santa Marina: una santa, mille volti

Nel vasto panorama delle sante cristiane che portano il nome Marina, quella celebrata a Ruggiano è identificata con Santa Marina del Libano, una figura straordinaria del V secolo. La sua storia, tra le più commoventi del cristianesimo orientale, racconta di una giovane donna che, per non separarsi dal padre ritiratosi in convento, si travestì da uomo assumendo il nome di fra’ Marino.

L’inganno non era mosso da malizia, ma da amore filiale. Tuttavia, fu accusata ingiustamente di aver messo incinta la figlia di un locandiere. Espulsa dal convento, visse in povertà e silenzio, allevando il bambino senza mai rivelare la verità. Solo dopo la sua morte, i confratelli scoprirono che quel frate umile e innocente era una donna, vittima di una calunnia sopportata con una dignità eroica.

Questa narrazione, sospesa tra leggenda e spiritualità, è al centro della venerazione popolare che ne ha fatto la protettrice dei malati di itterizia e delle partorienti.

Il “rito dell’arco”: tra medicina simbolica e fede arcaica

Uno degli aspetti più affascinanti della devozione a Santa Marina è il rito del pellegrinaggio a piedi verso il suo Santuario. I fedeli, spesso provenienti dai paesi vicini come Copertino, Parabita, Miggiano o Muro Leccese, si mettono in cammino attraversando sentieri rurali, accompagnati da familiari e conoscenti.

Lungo il tragitto si compie un gesto peculiare: urinare sotto una forma arcuata, che può essere un ramo, un rovo o – meglio ancora – un elemento architettonico come un arco in pietra. Questo gesto, apparentemente insolito, è carico di significato.

Secondo un’antica credenza, l’itterizia (allora chiamata “morbo regio” o “male d’arco”) era causata dall’influenza maligna dell’arcobaleno. Si pensava che indossare indumenti asciugati sotto l’arcobaleno potesse trasmettere il morbo. L’atto del mingere sotto un arco, evocazione simbolica dell’arcobaleno, aveva lo scopo di espellere il male dal corpo.

Durante questo gesto si recita una formula rituale in dialetto, tramandata a memoria:

Arcu, pintarcu,
tie si beddu fattu!
Ci no tte saluta,
de culure cu tramuta.
Ieu sempre te salutai,
lu culure no persi mai.

Una sorta di preghiera simbolica per chiedere protezione e guarigione, nella quale il rispetto per la forma arcuata diventa chiave di salvezza.

Le zagaredde: nastri di seta carichi di potere

Una volta giunti al Santuario, il rito si arricchisce di un ulteriore simbolo: le zagaredde, sottili nastri di seta dai colori vivaci. Questi nastri vengono strofinati sulla statua della santa, un gesto che ne conferisce sacralità, e successivamente legati al polso, al collo o tra i capelli, specialmente dalle donne.

La zagaredda non è un semplice ornamento. È un talismano, un legame fisico con la protezione divina, capace – secondo la tradizione – di allontanare il male e favorire la guarigione. Anche chi non è malato spesso porta con sé questi nastri come gesto di fede o in segno di ringraziamento.

L’acqua miracolosa e l’erba che guarisce

Vicino al Santuario si trova anche un pozzo, la cui acqua – secondo la tradizione – avrebbe poteri curativi, in particolare contro l’itterizia. I fedeli la bevono o la raccolgono per portarla a casa, proseguendo così il rito anche al di fuori del pellegrinaggio.

Non meno importante è l’"erba di Santa Marina", una pianta selvatica conosciuta con diversi nomi: erba te la Santa, erba dell’itterizia, erba perla azzurra. Si tratta della Buglossoides purpurocaerulea, una specie spontanea dai fiori azzurro-violacei, nota per le sue proprietà depurative, antiossidanti ed epatoprotettive. La leggenda la vuole originaria dei boschi di Martina Franca, da dove sarebbe stata trapiantata a Ruggiano per volere divino.

Oggi, la sua efficacia è riconosciuta anche dalla fitoterapia, a conferma di quanto spesso la sapienza popolare preceda quella scientifica.

Una tradizione viva, tra identità e spiritualità

La festa di Santa Marina a Ruggiano non è solo un evento religioso. È un archivio vivente di saperi, linguaggi e pratiche che raccontano la storia di un popolo. Un momento in cui comunità intere si ritrovano per condividere fede, speranza e memoria.

In un tempo in cui le tradizioni rischiano di essere dimenticate, questa celebrazione resiste come spazio sacro e sociale, ponte tra il passato e il presente. Ogni gesto, ogni parola, ogni oggetto – dalle zagaredde all’erba curativa – è carico di un significato che va ben oltre il folclore: è un’affermazione di identità.

Il potere del simbolo, la forza della comunità

Il culto di Santa Marina è una narrazione collettiva che si rinnova ogni anno. In esso convivono fede cristiana, medicina popolare e riti arcaici, in un intreccio che restituisce senso e valore al dolore, alla malattia, alla speranza. È un racconto che parla alla mente e al cuore, capace di unire generazioni e territori.

In un mondo sempre più frammentato e disincantato, celebrare Santa Marina significa ritrovare radici comuni, riscoprire la potenza del simbolo e la bellezza della condivisione. A Ruggiano, ogni 17 luglio, la tradizione non è solo ricordata: è vissuta.

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