Chi arriva alla Grotta Zinzulusa, lungo il tratto di costa che collega Castro a Santa Cesarea Terme, spesso resta colpito dal brusio del mare che entra ed esce dalla cavità, dalle pareti frastagliate, dai giochi di luce che cambiano da un’ora all’altra. Ma basta un attimo, una guida che accenna una storia o un anziano del posto che fa un gesto vago con la mano, perché la curiosità si accenda: “Sai perché si chiama così?”.

Dietro quel nome c’è un racconto che affonda nelle tradizioni popolari del Salento. Una storia che parla di dolore, magia, vendetta, straniamento. Una storia che, in fondo, racconta anche qualcosa dei rapporti umani e del modo in cui le comunità del passato cercavano di dare un senso all’ingiustizia.

Un barone ricco, ma più arido delle rocce

Si dice che secoli fa, sulle terre che oggi riconosciamo come Castro e i suoi dintorni, vivesse un barone. Non un nobile compassionevole o un signore illuminato, come a volte capita nelle fiabe, ma una figura cupa, schiva, dominata dall’avidità.
Era un uomo che misurava tutto in ricchezze, possessi, proprietà. Eppure, paradossalmente, non sapeva usarli: accumulava oro e terre come se fossero una barriera contro il mondo esterno.

Secondo la leggenda, la moglie — una donna buona, forse troppo sensibile — morì di dolore. Non per una malattia, non per una sfortuna improvvisa, ma per la tristezza di una vita priva di affetto.
E qui sorge una domanda amara: a cosa serve un castello se non ci si sente mai a casa?

Il barone rimase solo con la figlia, una bambina che avrebbe meritato cure, tempo, gesti semplici. Invece, veniva lasciata crescere ai margini, quasi nascosta, con addosso abiti consumati, stracciati dal tempo e dall’indifferenza. In dialetto, quei brandelli venivano chiamati zinzuli. E quel dettaglio — all’apparenza insignificante — diventerà il cuore della leggenda.

Una bambina che perde colore

Immagina una bambina che attraversa le giornate con passo lieve, sperando di non attirare troppa attenzione. Una di quelle bambine che imparano presto a fare silenzio, a non chiedere, a non disturbare.

I suoi vestiti erano così consunti da sembrare parte del corpo. Il tessuto era ridotto al minimo, come se ogni gesto del padre servisse a ricordarle che non valeva la pena di spendere neppure una moneta per lei.

Eppure, nonostante la crudeltà, la bambina sopravviveva. A volte, nelle storie popolari, i personaggi più fragili sono proprio quelli che, in silenzio, resistono più degli altri.

L’apparizione che cambia il destino

Un pomeriggio — la leggenda non precisa quale, e forse è giusto così — una fata comparve davanti alla bambina. Non uno di quegli esseri luminosi che chiedono attenzione, ma una figura discreta, capace di osservare con gentilezza.

Si avvicinò, la guardò negli occhi e comprese tutto. Nessuna domanda, nessuna esitazione.

Con un gesto leggero, le donò un abito nuovo: morbido, pulito, ricco di colori che la bambina forse non aveva mai indossato.
E poi, con un movimento rapido, fece a pezzi gli stracci che la bimba portava addosso.

Gli zinzuli si sollevarono nell’aria, trasportati dal vento come foglie leggere, e si posarono sulla pareti della grande grotta che si apriva sul mare. E lì restarono, irrigiditi dal tempo, assumendo quelle forme sottili e irregolari che ancora oggi sembrano pendere dal soffitto.

Ecco perché la grotta venne chiamata Zinzulusa: la grotta “degli stracci”.

Chi la visita oggi può davvero immaginare quei lembi di stoffa sospesi a mezz’aria, trasformati in concrezioni minerali che ricordano tende sfilacciate o veli pietrificati.

Il castigo del barone

La storia, però, non si ferma alla magia. Come spesso accade nei racconti antichi, quando appare una figura benevola ne arriva anche una che deve scontare le conseguenze delle proprie azioni.

La fata si rivolse al barone e, senza dire una parola di troppo, lo scagliò nelle profondità del mare.
Nel punto esatto in cui il suo corpo affondò, le acque iniziarono a ribollire e si aprì una cavità interna: il Cocito, un piccolo lago sotterraneo dalle acque scure e silenziose.

Secondo la leggenda, i crostacei che assistettero alla scena — creature abituate agli abissi, non agli eventi sovrannaturali — rimasero accecati per sempre.

Un dettaglio curioso, quasi infantile, ma tipico delle narrazioni popolari: la natura diventa testimone, e a volte partecipe, del destino degli uomini.

Una vita che finalmente sboccia

La bambina, ormai libera dalla presenza ingombrante del padre, crebbe in un ambiente più sereno.
Con il tempo incontrò un giovane principe, gentile e affettuoso. Non un eroe da fiaba, ma un uomo capace di ascoltare, di osservare, di riconoscere il dolore e trasformarlo in qualcosa di nuovo.

Si sposarono e vissero una vita semplice, fatta di gesti quotidiani e affetti veri.
E anche questo è un messaggio della leggenda: non servono castelli per essere felici, basta qualcuno che sappia davvero vederti.

Le altre leggende che abitano il Salento

Il tratto di costa tra Castro, Otranto e le marine vicine è un archivio vivente di storie. Ogni scoglio sembra avere un nome, ogni grotta un racconto, ogni torre un ricordo.

La Grotta degli Amanti

Un luogo che custodisce la storia di due giovani legati da un amore ostacolato. C’è chi dice che, in certi giorni, il mare resti più calmo proprio in loro memoria.

La Torre del Serpe

Simbolo di Otranto, avvolta da racconti di serpenti giganteschi, invasioni e segnali misteriosi. Una torre che ha visto secoli passare e che continua a incuriosire chi la osserva.

L’Isola della Fanciulla

Uno scoglio al largo che nasconde una storia drammatica e tenera allo stesso tempo. Una giovane donna, un mare agitato, una scelta che riecheggia ancora.

Le Due Sorelle

Le iconiche faraglioni di Torre dell’Orso. Secondo la leggenda, due sorelle vi trovarono la loro sorte, trasformate dal mare e dal tempo in monumenti naturali.

Leggende come quella della Zinzulusa non servono solo a spiegare un nome o a intrattenere i bambini. Raccontano il modo in cui le comunità antiche cercavano di dare forma ai sentimenti: la crudeltà, la perdita, l’ingiustizia, ma anche la possibilità di riscatto.

Visitare la grotta dopo aver ascoltato questa storia è diverso.
Si entra con gli occhi rivolti all’alto, cercando tra le concrezioni un lembo di stoffa che non c’è più, ma che la fantasia continua a vedere.

Forse è proprio questo il senso delle leggende: non dirti cosa è vero o falso, ma accompagnarti mentre cerchi il tuo modo di guardare il mondo.

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