Ci sono luoghi che non si scoprono per caso, ma per desiderio. Il Sentiero delle Cipolliane, nel profondo sud del Salento, è uno di questi. Non compare tra le mete più turistiche, non si affolla di comitive, e forse è proprio per questo che resta così vero.
Parte dal Ponte del Ciolo, poco fuori Gagliano del Capo, e scende fino a Marina di Novaglie seguendo la costa rocciosa. È una striscia di terra sospesa tra due blu: quello del mare e quello del cielo. Quando ci metti piede sopra, hai subito la sensazione di entrare in un racconto che non ti appartiene ma che, passo dopo passo, comincia a parlarti.

Parte dal Ponte del Ciolo, poco fuori Gagliano del Capo, e scende fino a Marina di Novaglie seguendo la costa rocciosa. È una striscia di terra sospesa tra due blu: quello del mare e quello del cielo. Quando ci metti piede sopra, hai subito la sensazione di entrare in un racconto che non ti appartiene ma che, passo dopo passo, comincia a parlarti.

Il respiro del Salento antico

Appena superato il ponte, il rumore delle auto scompare. Rimane solo il suono del vento che si infila tra i cespugli di lentisco e rosmarino, e il battito lento delle cicale che scandisce il tempo.
Il sentiero si apre davanti come una vena chiara nella pietra: larga in alcuni punti, stretta in altri, incisa da secoli di passaggi. Era la via dei pescatori che risalivano verso Gagliano, caricando i muli con il pescato del giorno. Ogni curva, ogni muro di pietra racconta quella fatica umile e quotidiana che ha disegnato il paesaggio salentino.

Mi è capitato di incrociare un anziano del posto, seduto all’ombra di una pajara. Mi ha salutato con un “te nni scì alla Cipuliana?” — “vai alle Cipolliane?” — e ha sorriso come se avesse appena rievocato un vecchio ricordo. È in quel momento che ho capito che questo sentiero non è solo pietra e mare: è memoria viva.

Camminare tra profumi e silenzi

Il cammino è breve, poco più di due chilometri e mezzo, ma la sensazione è di attraversare un mondo intero.
L’odore della terra rossa si mescola a quello dell’erba bruciata dal sole, e le mani si sporcano di polvere calcarea se ti appoggi alle rocce per salire o scendere. A ogni passo, il mare appare e scompare tra gli ulivi, come un lampo di luce.

A volte si cammina in silenzio, ascoltando solo il respiro. Altre volte, un falco pellegrino taglia il cielo, o una lucertola fugge tra le pietre. È un percorso che ti insegna a guardare, a rallentare, a non cercare per forza la meta.

Nei mesi di maggio e giugno, il sentiero profuma di timo selvatico e di origano fresco. In estate, il calore si fa più forte, la luce vibra, e il mare sembra riflettere ogni pensiero. In autunno, invece, la macchia mediterranea si risveglia: il verde si fa più intenso, e il cielo si stende basso come un lenzuolo.

Le Grotte delle Cipolliane: la voce del mare nella roccia

A metà del cammino, tra i cespugli e le rocce scoscese, un sentiero secondario scende verso il mare. È qui che si trovano le Grotte delle Cipolliane. Non serve una torcia per capirne la magia: basta avvicinarsi all’ingresso e sentire l’eco delle onde che risuona all’interno.

Le grotte si aprono a picco sull’Adriatico, a una trentina di metri d’altezza. Dentro, l’aria è fresca e umida, e le pareti raccontano la storia del tempo. Si vedono fossili marini, piccole conchiglie incastonate nella pietra, segni di un passato in cui il mare copriva tutto.
Si dice che qui trovassero riparo i pescatori durante le tempeste, accendendo fuochi che ancora oggi, se chiudi gli occhi, sembrano lasciar traccia nell’odore della pietra bagnata.

Il nome “Cipolliane” pare derivi dalle cipolle selvatiche — “le cipuddhe” — che crescevano nei dintorni. Altri dicono che venga da una famiglia antica del posto. Forse è entrambe le cose, o forse nessuna. Ma nel dubbio, è bello immaginare che queste grotte abbiano il sapore dolce e pungente della cipolla, come la terra che le circonda.

L’ultimo tratto: la discesa verso il mare

Superate le grotte, il sentiero si fa più stretto. Si cammina tra pietre bianche, muretti bassi e cespugli di cisto. Il rumore del mare cresce a ogni curva. Poi, all’improvviso, l’orizzonte si apre: sotto di te, la baia di Marina di Novaglie brilla come una lama di luce.

Da lontano si vedono le barche dei pescatori, le reti stese ad asciugare e un paio di vecchi che chiacchierano seduti su un muretto, con il cappello calato sugli occhi. Quando arrivi giù, l’unico suono è quello delle onde che sbattono contro gli scogli. È un momento di silenzio pieno, quasi sacro. Ti siedi, bevi un sorso d’acqua, e senti il corpo alleggerirsi.
Non è solo la fine del sentiero. È come se qualcosa dentro di te avesse camminato insieme ai piedi.

Consigli da chi ci è stato

Non serve essere un escursionista esperto. Basta un paio di scarpe buone, una bottiglia d’acqua e la voglia di lasciarsi sorprendere.
Il percorso non è lungo, ma è esposto: il sole picchia forte, e l’ombra scarseggia. Partire di mattina presto è la scelta migliore. Se puoi, fermati un attimo a guardare il Ponte del Ciolo dall’alto: è un colpo d’occhio che non si dimentica.

In autunno e in primavera, la luce regala i colori migliori. Il mare cambia sfumature a seconda dell’ora, e la roccia prende toni caldi, quasi rosati. Porta con te una macchina fotografica o, meglio ancora, niente. Ci sono panorami che è più bello tenere solo negli occhi.

Un ricordo che resta addosso

Quando torni indietro — o forse non torni affatto, ma resti a Novaglie a guardare il tramonto — capisci che questo sentiero ti ha lasciato qualcosa.
Non è solo la vista, o la stanchezza piacevole nelle gambe. È quella sensazione di presenza, rara e limpida, che si prova solo quando si cammina dentro la verità di un luogo.

Ti sembrerà di sentire ancora l’odore del timo, il suono del vento tra le pietre, il saluto gentile di chi vive qui da sempre.
E capirai che, nel Salento, non serve cercare le cose grandi per sentirsi parte del mondo. A volte basta un sentiero, una grotta, e un po’ di silenzio.

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